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25/07/2014

Osteoporosi, con denosumab sicurezza ed efficacia durature per almeno 8 anni

Nuove conferme sull’efficacia e sulla sicurezza a lungo termine di denosumab contro l’osteoporosi postmenopausale. A fornirle sono gli ultimi dati dell’estensione in aperto dello studio FREEDOM (Fracture Reduction Evaluation of Denosumab in Osteoporosis Every 6 Months), presentati da poco a Chicago, durante i lavori dell’International Congress of Endocrinology and the Endocrine Society (ICE/ENDO).

Dallo studio emerge che donne in postmenopausa trattate per 8 anni consecutivi con denosumab – anticorpo monoclonale diretto contro il ligando di RANK (RANKL) – hanno fatto registrare un aumento continuo, quasi lineare della densità minerale ossea (BMD) a livello della colonna lombare, nonché una riduzione persistente dei marker di turnover osseo e una bassa incidenza di nuove fratture vertebrali e non vertebrali, senza alcun incremento degli eventi avversi nel tempo.

Inoltre, nei 5 anni di trattamento in aperto con l’anticorpo, dopo i primi 3 di trattamento randomizzato in doppio cieco, non è emerso alcun nuovo evento avverso sulla sicurezza del farmaco.

“È importante sottolineare che il rischio complessivo di eventi avversi non è aumentato nel corso del tempo, e l’incidenza di tumori, infezioni gravi, eczema, ipocalcemia e altri eventi avversi nelle donne trattate con denosumab rimanere paragonabile a quella osservata nei controlli trattati con placebo nella prima fase dello studio, in doppio cieco” ha detto il primo autore Michael Lewiecki, direttore del New Mexico Clinical Research and Osteoporosis Center di Albuquerque, presentando i dati. “Il profilo di rischio/beneficio di denosumab rimane favorevole” ha dichiarato lo specialista.

L’estensione in aperto dello studio FREEDOM è stata progettata per valutare l’efficacia e la sicurezza in un massimo di 10 anni di terapia con denosumab 60 mg ogni 6 mesi più supplemetazione quotidiana di calcio e Vitamina D. All’ICE/ENDO, Lewiecki ha presentato l’ultimo aggiornamento, che si riferisce al quinto anno di estensione, e quindi a 8 anni di trattamento continuativo con denosumab per le donne trattate fin da subito con l’anticorpo e 5 anni per quelle assegnate inizialmente al placebo e poi passate a denosumab dopo i primi 3 anni, quando è iniziata l’estensione in aperto.

Nello studio di estensione erano state arruolate 2343 donne, designate a continuare con l’anticorpo e 2207 donne, designate al cross-over. Delle donne che avevano iniziato l’estensione, il 66% ha completato il quinto anno di trattamento.

Nel gruppo trattato da subito con denosumab, la BMD a livello della colonna lombare ha continuato ad aumentare nel tempo, consentendo un guadagno del 18.4% rispetto al basale, mentre nel gruppo trattato per 5 anni l’aumento è stato del 13.1% (in entrambi i casi P < 0,0001). A livello dell’anca in toto, la BMD è aumentata dell’8,3% dopo 8 anni di terapia con denosumab e del 6,2% dopo 5 anni.

L’incremento della BMD è risultato sostanzialmente lineare, invariato nel corso dello studio nei soggetti trattati attivamente per tutto il periodo e una pendenza simile si è osservata anche nel gruppo sottoposto al cross-over.

L’incidenza annuale di nuove fratture vertebrali e non vertebrali è rimasta bassa nel corso dell’estensione. a 8 anni, con una incidenza di nuove fratture di femore pari a 0.2 % nel gruppo trattato continuativamente con denosumab e 0.1% nel gruppo sottoposto al cross-over.

“Sarà interessante analizzare i dati dei prossimi due anni per vedere se questa tendenza alla riduzione è solo un’aberrazione statistica o se il rischio di fratture non vertebrali continua a scendere ed essere molto basso” ha commentato Lewiecki.

Anche i livelli dei marker di turnover osseo nel siero (telopeptide C-terminale del collagene di tipo 1 e propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1) sono scesi rapidamente dopo l’inizio del trattamento con denosumab e sono rimasti bassi, sia nel gruppo assegnato fin dall’inizio all’anti-RANKL sia in quello trattato inizialmente con il placebo e poi passato all’anticorpo.

A chi gli ha chiesto quale sia il meccanismo alla base dell’aumento lineare della BMD a livello lombare osservato negli 8 anni di terapia con denosumab, in netto contrasto con quanto accade per i bifosfonati, con i quali la BMD arriva a un plateau, Lewiecki ha confessato che “molti ricercatori si stanno interrogando su questo e cercando una spiegazione”.

In altre parole, il motivo non è ancora chiaro, “ma ci sono diverse ipotesi da prendere in considerazione”, ha continuato l’endocrinologo, citando, per esempio, il fatto che gli effetti sul tessuto osseo corticale di denosumab sembrano essere diversi rispetto ai bifosfonati, con una riduzione della porosità corticale e un miglioramento maggiore della BMD nei siti scheletrici corticali.

In secondo luogo, potrebbe essere implicato un effetto dell’ormone paratiroideo, che aumenta maggiormente e più a lungo con denosumab rispetto ai bifosfonati; l’anticorpo, infine, si associa ad “ un effetto sul modellamento dell’osso ed è possibile che anche questo meccanismo possa avere un ruolo”.

 

E.M. Lewiecki, et al. Effect of Denosumab Treatment in Postmenopausal Women with Osteoporosis: Eight-Year Results from the Freedom Extension, Phase 3 Clinical Trial. ICE/ENDO 2014; abstract OR22-1.

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