Il latte vaccino: un alimento da rivalutare

Il latte vaccino: un alimento da rivalutare

I consumi di latte vaccino in Italia sono mediamente bassi e in continuo decremento, soprattutto per ignoranza e disinformazione sugli effetti di questo alimento sulla salute umana. Per tentare viceversa di offrire al consumatore una panoramica completa e soprattutto evidence-based sul latte vaccino, un simposio di esperti organizzato nel 2016 dalla Nutrition Foundation of Italy ha approfonditamente indagato il ruolo del latte vaccino nell’alimentazione umana e i suoi effetti sulla salute, offrendo un quadro estremamente rassicurante sia per l’operatore sanitario sia per il consumatore.

Composizione. Il latte vaccino è composto da:
– acqua (87% circa);
– grassi (>3.5% nel latte intero, 1.5-1.8% in quello parzialmente scremato, <0.5% in quello scremato; prevalentemente trigliceridi all’interno di globuli circondati da una specifica membrana che rende più favorevole la risposta della colesterolemia LDL al consumo di latte);
– proteine (3.4%; prevalentemente caseine, proteine ad alto valore biologico);
– lattosio (4.8%; disaccaride composto da glucosio e galattosio e digerito nell’uomo dall’enzima lattasi);
– minerali (calcio, fosforo, potassio, magnesio, zinco e selenio);
– vitamine (idrosolubili del gruppo B e liposolubili proporzionalmente al contenuto lipidico).

Tipi di latte vaccino e relativi trattamenti produttivi. Processi tecnologici diversi per risanare e modificare il latte vaccino determinano l’immissione in commercio di diversi tipi di latte:
– latte pastorizzato: trattato ad almeno 72° per 15 secondi per la distruzione dei patogeni sporigeni;
– latte sterilizzato UHT: trattato a 135-150° per 2-4 secondi e confezionato in condizioni asettiche per la distruzione completa della carica batterica;
– latte microfiltrato: sottoposto a rimozione meccanica di cellule batteriche e somatiche e spore (poi pastorizzato);
– latte delattosato (a basso o trascurabile tenore di lattosio): aggiunto l’enzima lattasi prima del trattamento termico standard.

Sicurezza del latte vaccino. Il latte vaccino immesso sul mercato italiano deve rispettare rigorosamente le normative europee di riferimento in termini di sicurezza microbiologica, presenza di residui di antibiotici o di altre sostanze potenzialmente tossiche. Il rispetto della normativa è garantito da una sistematica attività di controllo da parte delle Istituzioni che complessivamente garantisce la salubrità del latte commercializzato in Italia. In particolare l’uso di ormoni è vietato in Italia e nell’Unione Europea, mentre quello di antibiotici è ancora elevato in ambito zootecnico sebbene in riduzione negli ultimi anni, determinando residui molto bassi nei latti sottoposti a controllo ufficiale. Anche i mangimi e foraggi, prevalentemente importati dall’estero, sono comunque sottoposti a puntuali controlli per garantirne la salubrità.

Indicazioni delle linee guida e consumi medi
. Le linee guida italiane per una sana alimentazione (edizione 2003 dell’INRAN) raccomandano 3 porzioni al giorno di latte o yogurt (125 ml di latte o 125 g di yogurt ciascuna) e 2-3 porzioni alla settimana di formaggio fresco (100 g ciascuna) o stagionato (50 g).
Complessivamente il volume giornaliero di latte e derivati raccomandato nell’ambito di una alimentazione sana ed equilibrata appare più contenuto in Italia rispetto ad altri Paesi europei ed agli Stati Uniti, non tanto in termini di numero di porzioni (abbastanza sovrapponibili) quanto a dimensioni delle singole porzioni (inferiori in Italia rispetto agli altri Paesi, specialmente quelle di latte e yogurt). Ciononostante gli studi osservazionali suggeriscono che il consumo di latte e yogurt in Italia sia nettamente inferiore sia rispetto a quanto raccomandato dalle nostre linee guida sia rispetto alla media europea (in media negli adulti poco più di una porzione giornaliera), mentre i consumi di formaggi sono mediamente in eccesso rispetto alle raccomandazioni (con conseguente eccesso dietetico di grassi).

Consumo di latte in fasi specifiche della vita
. Il ruolo nutrizionale del latte vaccino varia poi in funzione delle fasi specifiche della vita. A partire dai 3 anni di età le linee guida consigliano di consumare due porzioni al giorno di latte/yogurt (una a colazione e una a merenda), tanto da porre il latte alla base della piramide alimentare definita dalla Società Italiana di Pediatria. La tendenza abbastanza comune al giorno d’oggi di abbandonare poi progressivamente il consumo di latte nel corso dell’adolescenza andrebbe categoricamente contrastata poiché il latte vaccino riveste un ruolo nutrizionale fondamentale anche nell’adulto come fonte di proteine, vitamine e minerali, soprattutto calcio.

Sicuramente tale scarso consumo di latte e yogurt contribuisce a far sì che l’introito dietetico di calcio della popolazione italiana sia mediamente inadeguato già a partire dall’adolescenza. Per quanto il latte non sia l’unico alimento ricco di calcio (lo sono anche molti vegetali e alcune acque ad esempio) il latte rappresenta quello con il migliore rapporto tra tenore di calcio altamente biodisponibile (a differenza di quello contenuto in alcuni vegetali), valore energetico della razione e costo relativo. Un ulteriore vantaggio del consumo di latte è il suo effetto saziante che induce una minore assunzione di calorie al pasto successivo.

Anche nelle donne in gravidanza e nelle persone nella terza età il consumo di latte è raccomandato per soddisfare le rispettive esigenze nutrizionali.

Nell’alimentazione dello sportivo, infine, il latte scremato può rappresentare una bevanda ottimale per il recupero dopo esercizio fisico, poiché contiene sia carboidrati semplici sia elettroliti (con una capacità reidratante almeno paragonabile a quella di bevande idrosaline specificatamente formulate) e studi suggeriscono che possa anche favorire il recupero e il potenziamento muscolare, oltre a stimolare il sistema immunitario per la presenza di molecole bioattive (gli oligosaccaridi) con azione prebiotica.

Effetti sui livelli di IGF-1. Il latte vaccino contiene una ridottissima quantità di IGF-1 (uno dei principali mediatori dell’attività biologica dell’ormone della crescita); inoltre il consumo di latte può modificare la sintesi endogena di IGF-1, ma in maniera solo modesta e secondo gli studi più recenti in entità sovrapponibile ad altre proteine di origine vegetale, come quelle della soia.

Allergia al latte e intolleranza al lattosio. L’allergia al latte, tipica dell’età infantile, è la seconda per frequenza dopo quella all’uovo e può essere IgE-mediata (determinando quadri clinici variabili dalle reazioni cutanee fino allo shock anafilattico) oppure non-IgE mediata (in genere disturbi gastrointestinali). L’allergia alle proteine del latte è una patologia da non confondere con l’intolleranza al lattosio, cioè la carenza di funzionalità dell’enzima lattasi. Quest’ultima condizione è molto frequente e si manifesta con dolori addominali crampiformi, meteorismo, diarrea, per effetto osmotico del lattosio giunto indigerito nella parte inferiore dell’intestino.

Può essere diagnosticato, in presenza dei sintomi specifici scatenati all’assunzione di lattosio, mediante il cosiddetto “breath test”. Studi suggeriscono che gli adulti con diagnosi di malassorbimento di lattosio possano ingerire fino a 12 g di lattosio (contenuto in una tazza di latte) con sintomatologia nulla o lieve, tuttavia la tolleranza può aumentare assumendo il lattosio con i pasti e in dosi refratte e presenta una estrema variabilità individuale: ogni individuo con una diagnosi certa di intolleranza al lattosio dovrebbe individuare la quantità necessaria a sviluppare i sintomi ed eventualmente, se necessario, integrare con latti delattosati e altri prodotti caseari a basso tenore di lattosio.

Consumo di latte e rischi di malattie. I risultati degli studi disponibili sembrano escludere un effetto negativo del consumo di latte sul peso corporeo, sul rischio cardiovascolare e sulla colesterolemia totale e frazionata, mentre suggeriscono un trend favorevole sul rischio di diabete mellito di tipo 2 e sulla pressione arteriosa. Per quanto riguarda invece il rischio di sviluppare tumori, sia uno studio multicentrico italiano sia una metanalisi di 4 studi prospettici non hanno evidenziato associazioni significative tra consumo di latte e incidenza totale di tumori, mentre studi che hanno analizzato la correlazione tra consumo di latte e incidenza di tumori in sedi specifiche hanno rilevato: un modesto eccesso di rischio di tumore della prostata per consumi di 200 g/die (RR=1.03, IC95% 1.00-1.07), una modesta riduzione del rischio di cancro del colon-retto sempre per consumi di 200 g/die (RR=0.91, IC95% 0.85-0.94) e nessun associazione né con il carcinoma mammario né con quello ovarico. Non vi sono neppure evidenze che il consumo di latte modifichi la prognosi di pazienti già portatrici di tumore della mammella.

Conclusioni e commenti. Il quadro che emerge da questo Simposio indica chiaramente che il latte vaccino è un alimento sicuro e molto prezioso dal punto di vista nutrizionale e andrebbe pertanto regolarmente consumato nelle quantità raccomandate dalle linee guida nell’ambito di una alimentazione varia ed equilibrata. Complessivamente le evidenze disponibili in letteratura indicano che l’effetto del consumo di latte su vari aspetti della salute umana è neutro o in alcuni casi addirittura favorevole. Al di fuori dell’allergia alle proteine del latte e dell’intolleranza al lattosio (quest’ultima comunque gestibile con il consumo di latte delattosato) non esistono altre situazioni che giustifichino l’eliminazione del latte vaccino dalla dieta.

Nell’ambito della salute scheletrica, il principale beneficio del latte vaccino deriva dall’apporto di calcio altamente biodisponibile (120 mg di calcio ogni 100 ml di latte) nel contesto di un alimento completo e sano dal punto di vista nutrizionale. Nella popolazione italiana, complice il ridotto consumo medio di latte e yogurt, l’introito medio giornaliero di calcio risulta insufficiente, contribuendo a determinare un bilancio calcico negativo e una condizione di iperparatiroidismo secondario.

Si ricorda a tal proposito che il fabbisogno quotidiano di calcio in età adulta, così come specificato anche nelle linee guida SIOMMMS, varia dai 1000 mg/die nei soggetti di età 25-50 anni e negli uomini di età 50-65 anni ai 1200 mg/die nelle donne in gravidanza, allattamento e postmenopausa (non in terapia ormonale sostitutiva) e negli uomini di età superiore ai 65 anni.

Inoltre un recente documento di consenso elaborato da ESCEO e IOF dopo revisione sistematica della letteratura ha sottolineato i benefici sulla salute scheletrica di un adeguato introito dietetico di proteine di qualunque origine e la mancanza di evidenze che il carico acido derivante dal consumo di proteine, specialmente animali, sia associato ad un aumentato rischio di osteoporosi o frattura, come spesso invece paventato dai detrattori del latte vaccino.

Bibliografia
:
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