Il denosumab nel trattamento dell’artrosi erosiva

Il denosumab nel trattamento dell’artrosi erosiva

L’artrosi erosiva delle mani colpisce le articolazioni interfalangee, contribuendo a disabilità e dolore cronico prevalentemente nel sesso femminile (1). Istologicamente è caratterizzata da iperattività degli osteoclasti, confermata dall’aumento dei livelli sierici di marker di riassorbimento osseo, come il telopeptide C-terminale del collagene tipo 1 (2, 3). Il denosumab inibisce invece il riassorbimento osseo, fissandosi all’attivatore del recettore del fattore nucleare κB ligando (RANKL). Date le premesse, Wittoek e colleghi hanno voluto dimostrare un miglioramento dell’artrosi erosiva indotto da denosumab attraverso uno studio monocentrico, in doppio cieco e controllato con placebo (fase 2a).

Obiettivo principale dello studio è stato dimostrare un rallentamento della progressione del danno strutturale, valutato radiograficamente tramite il Ghent University Scoring System (GUSS) alla 24esima, alla 48esima ed alla 96esima settimana di terapia. Secondo il GUSS, valori positivi indicano un rimodellamento, valori negativi un’erosione. Obiettivi secondari sono stati invece la valutazione della comparsa di erosioni in nuove articolazioni e della riduzione della sintomatologia dolorosa. Sono stati ritenuti eleggibili tutti i pazienti seguiti presso il Ghent University Hospital, con più di 30 anni e presenza di attività infiammatoria in almeno un’articolazione, valutata sia clinicamente sia ecograficamente in accordo coi criteri di Verbruggen e Veys (4). Sono stati esclusi tutti i pazienti con artriti reumatiche, pregresse terapie con farmaci anti-riassorbitivi, interventi odontoiatrici recenti o programmati, ipovitaminosi D, ipo/ipercalcemia, storia di tumori solidi o ematologici, di abuso di sostanze o in stato di gravidanza e/o allattamento.

A tutti i pazienti è stata somministrata una dose di 60 mg di denosumab o di placebo ogni 3 mesi per 48 settimane. Un sottogruppo ha partecipato ad una fase estesa dello studio per ulteriori 48 settimane.

Tra Marzo 2016 e Luglio 2018, sono stati arruolati 100 soggetti, di cui 51 sono stati assegnati al gruppo che ha ricevuto il denosumab e 49 a quello del placebo. Prima della fine delle 24 settimane di studio sono stati esclusi 5 soggetti a causa della comparsa di eventi avversi, di cui 3 avevano ricevuto il denosumab e 2 il placebo, mentre altri 3 hanno ritirato il proprio consenso allo studio. Alla fine delle 48 settimane, 46 pazienti avevano completato il ciclo di denosumab e 46 quello di placebo.
A livello basale, alla 24esima settimana il GUSS medio era di 162.2 nel gruppo che aveva ricevuto denosumab e di 153.3 in quello con placebo.

Dopo 48 settimane, il GUSS medio era di 163.5 nel gruppo col denosumab e di 149.2 in quello con placebo, per una differenza tra i due di 14.3 punti. Lo sviluppo di erosioni su nuove articolazioni era statisticamente maggiore nel gruppo col placebo rispetto a quello con denosumab (38 vs 9, rispettivamente), con un rischio era inferiore del 76% nei soggetti che hanno assunto il farmaco [OR 0.24 (95% CI 0.08 to 0.72), p=0.009]. Nei pazienti non ci sono state tuttavia modifiche della sintomatologia. Al termine della 48esima settimana, l’incidenza di eventi avversi è stata maggiore nel gruppo con placebo.

Per la seconda fase dello studio, 44 pazienti dal gruppo originario di denosumab e 43 da quello del controllo sono stati arruolati per le successive 48 settimane, per un totale di 96 settimane di terapia. Il GUSS è ulteriormente aumentato in entrambi i gruppi, maggiormente nel gruppo dei controlli. E’ stato riferito inoltre riduzione del dolore in maniera maggiore nel gruppo del denosumab, con una riduzione dell’assunzione di antidolorifici come il paracetamolo.

In definitiva, il denosumab si è dimostrato capace di ridurre la progressione dell’erosione articolare valutata radiograficamente e di ridurre il rischio di comparsa della stessa in nuove articolazioni. Un miglioramento della sintomatologia si è invece ottenuto solo dopo 96 settimane di terapia.
Lo studio presenta tuttavia diversi limiti come il disegno monocentrico e l’eterogeneità dell’osteoartrosi erosiva stessa, pertanto potrebbero essere necessari in futuro studi più ampi e con una più stretta selezione o stratificazione dei pazienti. Si attendono quindi studi multicentrici di fase 3 per confermare i risultati.

Commento all’articolo di Wittoek, R., Verbruggen, G., Vanhaverbeke, T., Colman, R., & Elewaut, D. (2024). RANKL blockade for erosive hand osteoarthritis: a randomized placebo-controlled phase 2a trial. Nature medicine, 30(3), 829–836. https://doi.org/10.1038/s41591-024-02822-0

Bibliografia

  1. Kwok, W. Y. et al. Erosive hand osteoarthritis: its prevalence and clinical impact in the general population and symptomatic hand osteoarthritis. Ann. Rheum. Dis. 70, 1238–1242 (2011)
  2. Favero, M., Perino, G., Valente, M. L., Tiengo, C. & Ramonda, R. Radiological and histological analysis of two replaced interphalangeal joints with active subchondral bone resorption in erosive hand osteoarthritis: a novel mechanism? Skelet. Radiol. 46, 385–391 (2017).
  3. Rovetta, G., Monteforte, P., Grignolo, M. C., Brignone, A. & Bufrini, L. Hematic levels of type I collagen C-telopeptide in erosive versus nonerosive osteoarthritis of the hands. Int. J. Tissue React. 25, 25–28 (2003)
  4. Verbruggen, G., Wittoek, R., Vander Cruyssen, B. & Elewaut, D. Morbid anatomy of ‘erosive osteoarthritis’ of the interphalangeal finger joints: an optimised scoring system to monitor disease progression in afected joints. Ann. Rheum. Dis. 69, 862–867 (2010)




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